Questo nuovo spunto culturale va in netto disaccordo con la mitologia e il mito, poiché questi presuppongono di per sé un'indagine metafisica della realtà in contrasto con il metodo scientifico.
Allora che ne è del mito? Come abbiamo visto già in vari post - citando Borges o facendo un'indagine filologica del termine - la sua esistenza è strettamente legata all'uomo in maniera imprescindibile.
Vico ha intenzione di usare la filologia per indagare sui primordi dell’umanità, cioè per costruire, analizzando la maniera in cui si esprimevano gli uomini antichi, la trama ideale della nostra storia. Il filosofo comincia, per questo, dallo studio dei miti, gli scritti di quelle popolazioni che iniziarono ad avere, per la prima volta, vera confidenza con la scrittura; coloro che impararono a mettere per inscritto, seppur in maniera semplicistica, i loro pensieri. Facendo ciò, vuole mettere in evidenza un assunto che per molti sarebbe da scartare a priori, forse non proprio giustamente: la mitologia non è il frutto di pochissimi uomini di genio, ma di interi popoli antichi, i quali comunicavano con un linguaggio poetico, proprio con quel linguaggio che si trova in quei racconti fantasiosi.
Vico, infatti, scrive che il mito si esprime in favole che sono «maniera di pensare d’intieri popoli […] ne’ tempi della loro maggior barbarie»; e che precedono la ragione: «la mente umana, la qual è indiffinita, essendo angustiata dalla robustezza de’ sensi, non può altrimente celebrare la sua presso che divina natura che con la fantasia» (Scienza nuova, III, sez. 2, cap. 5, 4-6).
Vico, infatti, scrive che il mito si esprime in favole che sono «maniera di pensare d’intieri popoli […] ne’ tempi della loro maggior barbarie»; e che precedono la ragione: «la mente umana, la qual è indiffinita, essendo angustiata dalla robustezza de’ sensi, non può altrimente celebrare la sua presso che divina natura che con la fantasia» (Scienza nuova, III, sez. 2, cap. 5, 4-6).
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