venerdì 1 maggio 2020

Il moderno e il mito -Step#12

In epoca classica - abbiamo visto con Platone - il mito era parte integrante del pensare quotidiano, non ci si poteva discostare da esso nonostante il chiaro passaggio che gli antichi avevano fatto dal mythos al logos. In epoca moderna, invece, l'uomo partecipò a diverse rivoluzioni culturali, come quella scientifica, che lo portarono verso una razionalizzazione della vita.
Questo nuovo spunto culturale va in netto disaccordo con la mitologia e il mito, poiché questi presuppongono di per sé un'indagine metafisica della realtà in contrasto con il metodo scientifico. 
Allora che ne è del mito? Come abbiamo visto già in vari post - citando Borges o facendo un'indagine filologica del termine - la sua esistenza è strettamente legata all'uomo in maniera imprescindibile.


Giambattista Vico
Giambattista Vico è il primo pensatore moderno che avvia una riflessione sul mito in una prospettiva storico-antropologica. È con Vico che la riflessione sul mito si attesta a un livello ulteriore e inaugura una prospettiva storico-antropologica. Ne "La scienza nuova" il mito, ancorché completo nella propria espressione, è considerato come momento precedente e involuto rispetto alla riflessione razionale. La comprensione mitica segna una fase autonoma, non complementare o superiore rispetto alla ragione.
Vico ha intenzione di usare la filologia per indagare sui primordi dell’umanità, cioè per costruire, analizzando la maniera in cui si esprimevano gli uomini antichi, la trama ideale della nostra storia. Il filosofo comincia, per questo, dallo studio dei miti, gli scritti di quelle popolazioni che iniziarono ad avere, per la prima volta, vera confidenza con la scrittura; coloro che impararono a mettere per inscritto, seppur in maniera semplicistica, i loro pensieri. Facendo ciò, vuole mettere in evidenza un assunto che per molti sarebbe da scartare a priori, forse non proprio giustamente: la mitologia non è il frutto di pochissimi uomini di genio, ma di interi popoli antichi, i quali comunicavano con un linguaggio poetico, proprio con quel linguaggio che si trova in quei racconti fantasiosi.
Vico, infatti, scrive che il mito si esprime in favole che sono «maniera di pensare d’intieri popoli […] ne’ tempi della loro maggior barbarie»; e che precedono la ragione: «la mente umana, la qual è indiffinita, essendo angustiata dalla robustezza de’ sensi, non può altrimente celebrare la sua presso che divina natura che con la fantasia» (Scienza nuova, III, sez. 2, cap. 5, 4-6).

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