venerdì 27 marzo 2020

Indagine storico-linguistica -Step#02

Dopo aver discusso sul suo significato, sulla sua etimologia e sui suoi usi nelle lingue a noi lontane, credevo non ci fosse più nulla da dire sul termine mito. Eppure la mia curiosità non era sazia, dovevo approfondire la storia di questa parola.

Ripensandoci, quando parliamo di mito, non ci riferiamo sempre e soltanto ad un racconto, ad una favola o ad una leggenda. Partendo dagli 883 con la loro celebre canzone, noi tutti utilizziamo questo termine nelle più disparate espressioni, attribuendo ad esso diversi significati.

  •  "il mito di Garibaldi". Mito inteso come idealizzazione schematica o semplificata di un evento, di un personaggio o di un fenomeno sociale, che esprime i valori e le aspirazioni di una collettività e ne determina i comportamenti.
  • "il mito rousseauiano del buon selvaggio", inteso come motivo ispiratore o trasfigurazione ideale nell’opera di uno scrittore o di un’artista.
  • "il mito del benessere", "il mito dell’uguaglianza sociale", come rappresentazione ideale o ideologica di un’aspirazione collettiva.
  • "il mito di Hollywood", come immagine amplificata o alone leggendario che si crea attorno a un personaggio o a un fenomeno del costume sociale.
  • "quel personaggio è davvero un mito!", come persona o cosa che si segnala per particolari doti o qualità.


In definitiva, si può senza dubbio affermare che tutte queste sono espressioni farcite di un dolce significato positivo.
Ma perché questo termine nel tempo si è evoluta in questo modo? Esiodo avrebbe mai pensato che la parola con cui lui etichettava la sua teogonia avrebbe preso questa svolta?

Facciamo chiarezza..
Nel pensiero filosofico il termine indica, già dall’antichità, il racconto fantastico che non prevede dimostrazione, e in questo senso è opposto al logos (la dimostrazione ben fondata della verità), cui si attinge invece attraverso l’argomentazione razionale. Vico è il primo pensatore moderno che avvia una riflessione sul mito in una prospettiva storico-antropologica. La comprensione mitica per Vico, segna una fase autonoma, non complementare o superiore rispetto alla ragione. Il mito si esprime in favole che sono «maniera di pensare d’intieri popoli […] ne’ tempi della loro maggior barbarie», e che precedono la ragione: «la mente umana, la qual è indiffinita, essendo angustiata dalla robustezza de’ sensi, non può altrimenti celebrare la sua pressoché divina natura che con la fantasia».
Ma la vera svolta si ha fra il sec. 19° e il sec. 20°, durante i quali è stato condotto uno studio del mito secondo molteplici approcci disciplinari: in chiave sociologica (Durkheim, Lévy-Bruhl), in chiave antropologico-strutturalistica (Lévi-Strauss) o etnologica (Malinowski); in chiave storico-religiosa (Otto, Eliade); in chiave psicoanalitica. Mi ha incuriosito particolarmente quest'ultima: per Freud il mito, come il sogno, è espressione del linguaggio simbolico. Cassirer, invece, riassorbe il mito all’interno della più generale connotazione dell’uomo come «produttore di simboli».
Il mito è poi stato studiato anche in una prospettiva sociologico-politica. È stato rilevato che nel pensiero e nei movimenti politici moderni esso ha non di rado una funzione assai importante. La prospettiva della società comunista delineata da Marx – in cui saranno aboliti lo Stato, le istituzioni politico-amministrative e il denaro – contiene evidenti elementi mitici. Il teorico del sindacalismo rivoluzionario Georges Sorel ha giustificato il ricorso al mito, in quanto esso dà «un aspetto di piena realtà alle speranze di prossima azione», e quindi è assai utile per costruire una società nuova.
In ultima istanza, mito è dunque anche speranza nella quale trovare rifugio, che di questi tempi non guasterebbe.



Riferimenti:
https://dizionario.internazionale.it/parola/mito
http://www.treccani.it/enciclopedia/mito_%28Dizionario-di-Storia%29/

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