venerdì 10 aprile 2020

I miti di Platone -Step#08

Platone
Parlando di filosofia, soprattutto per la mia vena classicista, non posso fuggire dal citare Platone all'infinito. Filosofo con la "F" maiuscola: alunno di Socrate, ideatore del concetto dell'Iperuranio, visionario politico per una Repubblica del buon governo, ed anche maestro di Aristotele. Le premesse per presentarvi questo personaggio sono impressionanti.
Per capire Platone dobbiamo analizzare le opere che compongono la quasi totalità della sua produzione letteraria e filosofica: I dialoghi. In questi testi in forma dialogica, il filosofo ateniese si serve di miti di suo ingegno per spiegare le teorie da lui elaborate.

Già i suoi predecessori, i presocratici, avevano fatto ricorso a poemi intitolati "perì fύseos" (sulla natura). Ma con Platone ci troviamo di fronte ad una situazione paradossale: egli rifiuta la poesia ed il mito, fonti di pura fantasia e di falsità, ma è verificabile che nei suoi dialoghi ricorre a spunti poetici e soprattutto a miti per spiegare le sue intenzioni filosofiche. 

Manara  Valgimigli
Manara Valgimigli, grande filologo classico, esprime un'idea per me condivisibile riguardo questo contrasto platonico sul mito:
«Dunque un poetare, un μυθους ποιειν, che è anche un filosofare; e qui è la radice dei famosi miti di Platone che non sono mai qualche cosa di estraneo, come chi dicesse un abbellimento o un ornamento del suo filosofare; e il suo filosofare è anch’esso un poetare, un comporre musica, un μουσικὴν ποιειν, un cantare per incantare, ἐπάδειν, l’anima dell’uomo. Perocché ogni vero e grande filosofare non è mai speculazione teorica astratta, bensì nasce e risponde alle più vive esigenze dell’uomo, il quale chiede ai filosofi, come chiede ai poeti, la ragione del suo vivere e del suo morire. E da quale ansia l’anima umana è più conturbata e agitata che da questo mistero pauroso non sia ch’ella un giorno, sopravvenendo la morte corporea, dispersa e distrutta?»

Dunque per un verso Platone rappresenta il passaggio definitivo dal mythos, racconto favolistico, al trionfo del pensiero razionale, al Logos. Ma poi qualcosa non funziona, questo schema che lui stesso presenta non corrisponde del tutto a quello che troviamo poi nei suoi dialoghi. In effetti, pur attaccando il valore conoscitivo dei miti, poi li dissemina nell’intera sua opera di conoscenza. Ma allora i miti non sono del tutto estranei a questa finalità conoscitiva. Non c’è quella frattura totale tra mito e pensiero razionale. I miti in realtà hanno funzioni diverse nei differenti dialoghi platonici, che l’autorevole studioso Mario Vegetti sintetizza così.
Mario Vegetti
Essi sono di volta in volta:

  • rappresentazioni attraverso immagini dei movimenti della razionalità; 
  • supplementi persuasivi delle finalità morali e politiche della sua filosofia ; 
  • indicazioni di un percorso inaccessibile alla sua filosofia dialettica o per difficoltà o per impossibilità, percorso di cui il mito segnala e conferma tuttavia la legittimità del suo avvio.

D’altra parte, il sapere scientifico, «epistème», se possiede il necessario rigore logico e consequenziale, appare incapace di elevarsi alle più sublimi verità, senza contare che deve procedere per ipotesi onde poter sviluppare i rapporti di causa ed effetto, come fanno le scienze matematiche; mentre l’opinione mutevole e soggettiva, «dòxa», non è degna del vero filosofo. Dunque il mito è la sola forma di conoscenza capace di slanciarsi verso le verità più alte dell’anima e di tradurre in parole le forme più elevate del conoscere.

Vi presento, dunque, uno dei miti più emblematici della filosofia platonica, poiché racchiude in sé molti dei concetti che l'autore vuole trasmettere al suo pubblico. Trattasi del Mito della caverna.



Platone (per bocca di Socrate) immagina gli uomini chiusi in una caverna, gambe e collo incatenati, impossibilitati a volgere lo sguardo indietro, dove arde un fuoco. Tra la luce del fuoco e gli uomini incatenati vi è una strada rialzata e un muricciolo, sopra la strada alcuni uomini parlano, portano oggetti, si affaccendano nella vita di tutti i giorni. Gli uomini incatenati non possono conoscere la vera esistenza degli uomini sulla strada poiché ne percepiscono solo l'ombra proiettata dal fuoco sulla parete di fronte e l'eco delle voci, che scambiano per la realtà. Se un uomo incatenato potesse finalmente liberarsi dalle catene potrebbe volgere lo sguardo e vedere finalmente il fuoco, venendo così a conoscenza dell'esistenza degli uomini sopra il muricciolo di cui prima intendeva solo le ombre. In un primo momento, l'uomo liberato, verrebbe abbagliato dalla luce, la visione delle cose sotto la luce lo spiazzerebbe in forza dell'abitudine alle ombre maturata durante gli anni, ma avrebbe comunque il dovere di mettere al corrente i compagni incatenati. I compagni, in un primo momento, riderebbero di lui, ma l'uomo liberato non può ormai tornare indietro e concepire il mondo come prima, limitandosi alla sola comprensione delle ombre.


Nel mito della caverna la luce del fuoco rappresenta la conoscenza, gli uomini sul muricciolo le cose come realmente sono (la verità), mentre la loro ombra rappresenta l'interpretazione sensibile delle cose stesse (l'opinione). Gli uomini incatenati rappresentano la condizione naturale di ogni individuo, condannato a percepire l'ombra sensibile (l'opinione) dei concetti universali (la verità), ma Platone insegna come l'amore per la conoscenza (la filosofia stessa) possa portare l'uomo a liberarsi delle gabbie incerte dell'esperienza comune e raggiungere una comprensione reale e autentica del mondo.


Molto significativa - e di seguito citata - è la morale sul compito del filosofo. Platone guardando al sacrificio di Socrate, lo rimpiange e asserisce perché il filosofo non deve arroccarsi nella sua torre d'avorio, ma deve riscendere nella caverna per annunciare il mondo che ha scoperto:


Morte di Socrate - Jacques-Louis David
«Rifletti ancora su questo» dissi io. «Se costui, ridisceso, si sedesse di nuovo al suo posto, non avrebbe forse gli occhi colmi di oscurità, venendo di colpo dal sole?» «Certo» disse.
«Ma se dovesse di nuovo discernere quelle ombre e disputarne con quelli che son sempre rimasti in catene, mentre vede male perché i suoi occhi non si sono ancora assuefatti, ciò che richiederebbe un tempo non breve, non si renderebbe forse ridicolo, non si direbbe di lui che, salito quassù, ne è tornato con gli occhi rovinati, e dunque non val la pena neppure di tentare l’ascesa? e chi provasse a scioglierli e a guidarli verso l’alto, appena potessero afferrarlo e ucciderlo, non lo ucciderebbero?»

Concludo inserendo una videolezione di Matteo Saudino, noto divulgatore filosofico moderno, che fa un'attenta analisi del mito platonico che riassume quanto sopra esplicato. Buona visione!

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